Le Marche e la Mafia

18 Luglio 2016
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La morte di Berardo Provenzano, avvenuta lo scorso 13 luglio, avrà sicuramente fatto ricordare ai più quell’11 aprile di dieci anni fa, quando il noto boss di Cosa Nostra fu arrestato, dopo 43 anni di latitanza, dalla squadra mobile di Palermo. In particolar modo, a me è venuto in mente il suo arrivo alla questura di Palermo, dove, all’esterno, c’era una folla che lo accoglieva con vari epiteti quali “bastardo” e “vaffanculo” mentre si complimentava e applaudiva la polizia.

La maggior parte delle persone che aspettavano Provenzano fuori dalla questura era composta dai ragazzi di “Addio Pizzo”, una delle tante associazioni e simboli di una Sicilia e di un’Italia che vuole finalmente riscattarsi e dire un categorico NO alle mafie. In quest’ultimi anni realtà come quelle di Addio Pizzo e persone che promulgano valori quali legalità e antimafia sociale sono aumentate e si possono riscontrare in tutta Italia.

Lo scandalo di Mafia Capitale e in ultimo la presenza di presunte infiltrazioni mafiose negli appalti della fiera di Milano e di Expo 2015 sono due dei tanti esempi che testimoniano il fatto che la mafia non è un fenomeno circoscritto alle sole regioni del meridione. Davvero in pochi, però, sono portati a immaginare la presenza di infiltrazioni mafiose, nella nostra regione, vista da tutti come un territorio simbolo di tranquillità e benessere e, proprio per questo, è paradossalmente più complicato parlare di illegalità e fare antimafia nella Marche che, ad esempio, in Sicilia. Il fenomeno mafioso è sentito come qualcosa di lontano, che non ci interessa e che non tocca il nostro territorio.  È proprio per questo motivo che le mafie trovano nella nostra regione terreno fertile, come afferma il procuratore della Corte d’Appello di Ancona Vincenzo Macrì: “E’ noto che la criminalità organizzata di tipo mafioso tende a espandersi in regioni diverse da quelle di provenienza, approfittando delle minori difese e della maggiore facilità di penetrazione dovute al deficit di conoscenza e di esperienza da parte sia dell’opinione pubblica, che delle stesse istituzioni rappresentative locali”.

Anche nella nostra regione, infatti, non mancano organizzazioni facenti capo a personaggi appartenenti ad associazioni mafiose operanti in Sicilia, Calabria, Puglia, i cui reati comprendono il traffico di sostanze stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, l’usura, il riciclaggio, la concorrenza illecita. Queste attività illecite prendono piede più facilmente, per ovvi motivi, nelle città portuali, ma nessun territorio della nostra regione può essere considerato immune a questi fenomeni. Insomma, dobbiamo tutti abbandonare l’idea e l’illusione, come dice ancora una volta lo stesso Macrì, che la regione Marche sia un’isola felice.

Un altro dato che ci fa capire la presenza di infiltrazioni mafiose nella nostra regione è il numero dei beni confiscati, visti come la rappresentazione del potere del boss sul territorio che lo circonda, in quanto centri nevralgici delle sue attività economiche e spesso sedi per le riunione tra le famiglie mafiose: nelle Marche ce ne sono ben 29 distribuiti per tutta la regione. Soltanto due sono riutilizzati socialmente, secondo i parametri della legge 109/96: uno è “La fattoria della legalità” situato ad isola del piano (PU) e l’altro “Orto sociale: Comunità podere tufi” a Cupramontana (AN), che ospita una comunità residenziale per utenti con disagi psicologici. Proprio in quest’ultimo la settimana scorsa 12 ragazzi provenienti da tutta Italia hanno partecipato ad un campo di volontariato “E!state Liberi”, organizzato dall’associazione Libera, facendo dei lavori di agricoltura nell’orto sociale del bene confiscato ed esercitando delle attività formative sui temi come la legalità, la memoria e l’antimafia.

L’esperienza del campo a Cupramontana è solo una tra le tante buone pratiche ed esempi di legalità che persone e associazioni nella nostra regione portano avanti attraverso iniziative, formazione nelle scuole: sono gesti di legalità ed antimafia che possono sembrare piccoli ma che valgono tanto e contribuiscono a cambiare in meglio le cose nella nostra società. In fondo, a volte per fare la differenza basta solo discutere di questi temi con gli amici, con i familiari, con i compagni e con quelli che non la pensano come noi, anche solo per seguire il consiglio che ci diede quel giudice di Palermo del quale domani ricorre l’anniversario della morte:

“Parlate della mafia, parlatene in televisione alla radio e sui giornali, però parlatene” [Paolo Borsellino]

 

 

 Maria Chiara Di Vita