FINE VITA, LE PAROLE CHE FANNO PIÙ PAURA ALLA POLITICA ITALIANA

6 Marzo 2017
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«Sono finalmente arrivato in Svizzera e ci sono arrivato, purtroppo, con le mie forze e non con l’aiuto del mio Stato»

Negli ultimi giorni il dibattito politico si è scatenato su un unico tema: il trattamento del fine vita. La causa scatenante è stata la decisione di Fabiano Antoniani, in arte DJ Fabo, di terminare le proprie sofferenze usufruendo del suicidio assistito in una clinica svizzera. Diventato tetraplegico e cieco a seguito di un grave incidente stradale e dopo essersi sottoposto ad innumerevoli cure sperimentali, Antoniani ha deciso di sua spontanea volontà e cosciente delle conseguenze della propria decisione, di morire.

Tutto ciò ha portato, o meglio ha riportato, all’attenzione dell’opinione pubblica le tematiche del trattamento del fine vita e dell’eutanasia, uno dei temi etici che più spaventano la classe politica in modo bipartisan, destra, sinistra, centro. E questo non è successo perché è giusto prevedere delle leggi in materia, ma a seguito dell’eco mediatico che la questione ha sollevato, così come era successo per Piergiorgio Wembly o per Eluana Englaro, con la paura, e la speranza di altri, che quando le telecamere si spegneranno sulla questione questa possa cadere nel dimenticatoio legislativo. 

Tutti questo è profondamente ingiusto: pretendiamo quindi una legge che regoli la materia del fine vita. Ma cosa sono i trattamenti di fine vita? Senza uscire dal nostro continente diamo un’occhiata alla legislazione degli altri paesi europei, in cui sono previste tre modalità diverse di eutanasia, con modalità e norme diverse tra nazione e nazione. La prima è l’eutanasia attiva, praticata in paesi come l’Olanda, Belgio e Lussemburgo, che prevede la morte provocata mediante somministrazione da parte del medico, sotto approvazione del paziente, di farmaci che inducono la morte (eutanasia attiva diretta) o di mezzi per alleviare la sofferenza (come la morfina) che hanno come effetto secondario la diminuzione progressiva dei tempi di vita (eutanasia attiva indiretta). La seconda modalità, prevista in paesi come Svezia, Regno Unito, Austria, Spagna, Francia, è l’eutanasia passiva, cioè l’interruzione di un trattamento medico necessario alla sopravvivenza del paziente (come nutrizione ed idratazione artificiale). L’ultima è il suicidio assistito, praticato in paesi come Svizzera, Germania ed in altri in cui sono disponibili anche le precedenti modalità: in questo caso è previsto l’aiuto medico ed amministrativo portato a un soggetto che ha deciso di morire, ma senza l’intervento nella somministrazione di sostanza, cioè è il paziente che si somministra le sostanze necessarie che poi lo porteranno alla morte.

Parallelamente alle varie modalità di eutanasia è importante sottolineare un altro strumento di autodeterminazione presente in quasi tutti i paesi: il testamento biologico, cioè un documento legale che esprime la scelta di una persona riguardo alle terapie da prescrivere nel caso in cui, per incidente o malattia, non fosse più in grado di esprimere una sua volontà.

Detto tutto questo, qual è la situazione dell’Italia? La situazione è tragica in quanto non sono previsti ne l’eutanasia, in nessuna forma, né il testamento biologico. Al momento è in discussione in parlamento un testo (“norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari al fine di evitare l’accanimento terapeutico”) che però non introduce ne l’eutanasia ne il suicidio assistito, e che è continuamente osteggiato dall’opposizione trasversale al suon di emendamenti e rinvii. Senza contare, se mai si riuscirà a legiferare in materia, che questi diritti dovranno essere esercitati in pieno, senza l’intervento di medici obiettori di coscienza che non permettano al libero cittadino di esercitare la propria volontà, come invece succede per pratiche mediche legali ma altamente osteggiate, come l’aborto. 

Purtroppo la situazione italiana al momento è questa: viviamo ancora in un paese in cui un malato terminale che vuole consapevolmente e coscientemente finire la sua vita deve spendere migliaia di euro per morire in un altro paese lontano dalla famiglia e dagli amici (non tutti possono permettersi i costi del viaggio) oppure restare anni attaccato ad una macchina in stato vegetativo, contro le sue intenzioni, purtroppo ancora non supportate né supportabili da un documento con valore legale (come era stato per Eluana Englaro) proprio a causa del vuoto normativo.

Come detto prima questo è profondamente ingiusto. Voglio vivere in un paese dove, nel pieno delle mie facoltà mentali e in piena coscienza di ciò che le mie decisioni porteranno, io possa dichiarare in un documento vincolante le mie volontà in caso di grave incidente o malattia che mi riducano in stato incosciente permanente. E voglio decidere, se mai mi troverò in condizioni mediche irreversibili, nella sofferenza più totale ma ancora nel pieno delle mie capacità mentali, se morire e come morire, cioè voglio avere la possibilità di scelta anche sulle diverse modalità di fine vita esistenti.

Voglio concludere con un’altra citazione, ovvero l’articolo 32 della nostra Costituzione, in cui si afferma che la legge non può violare i diritti della singola persona, cioè la sua autodeterminazione, anche nel porre fine alla propria vita quando la situazione medica è irreversibilmente compromessa:
«La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.»

 

 

Michele Carotti

Segretario GD Senigallia