Vitalizi parlamentari: una battaglia vinta?

31 Luglio 2017
334 visualizzazioni

 

Negli ultimi giorni, il dibattito parlamentare, soprattutto alla Camera, è stato incentrato sulla proposta del Partito Democratico, presentata dall’On. Matteo Richetti, relativa alla riforma del calcolo dei vitalizi dei deputati. La proposta, così com’è stata approvata alla Camera, li abolirà definitivamente anche per i parlamentari in carica fino al 2012 (ricordiamo che per chi fu eletto con le elezioni del 2013, quindi dopo il 2012, i vitalizi sono già stati aboliti); riassumendo i punti focali, la proposta si incentra su un ricalcolo dei vitalizi, con il passaggio del sistema pensionistico da retributivo a contributivo(come per tutti i dipendenti di amministrazioni pubbliche), con una diminuzione dell’indennità percepita che varia tra il -20% ed il -40%. Ora la palla passa al Senato, che avrà il potere di modificare la proposta o di approvarla così com’è, rendendola di fatto definitiva.

Una manovra necessaria per rispondere alle numerose voci che, in questi anni, hanno sempre più denunciato i costi della politica italiana. A partire dal giornalismo, che già nel 2007 denunciava i privilegi parlamentari nel libro “La Casta” di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, queste voci si sono diffuse a macchia d’olio in tutta la società italiana, permeando negli ultimi anni il dibattito politico al punto di diventare uno dei cavalli di battaglia dell’antipartito per antonomasia, il M5S – il quale, beninteso, una volta entrato in Parlamento proprio nel 2013, e nell’EuroParlamento l’anno successivo, ha comunque accettato, senza troppi complimenti, di percepire finanziamenti pubblici ed emolumenti destinati ai propri parlamentari (ma questa è un’altra storia).

Veniamo ad oggi. La riforma approvata dalla Camera come cambierà le finanze statali? E quali sono i pro e i contro di una scelta simile?

Partiamo dai dati numerici. Le prime proiezioni (perché il dato certo si avrà solo dopo l’effettivo ricalcolo) parlano di un risparmio medio annuo per le casse statali di circa 77,4 milioni di euro per il periodo 2016-2025. Non è ben chiaro se questo dato sarà destinato a scendere o salire sullo stesso periodo di tempo; con tutta probabilità, però, dal 2025 in poi la cifra si assottiglierà sempre di più.

Fonte: La Repubblica, 27/07/2017

Un risparmio piuttosto contenuto, nella sostanza poco più di 1€ all’anno a testa per ogni italiano. Ma non di meno, un segnale di avvicinamento da parte di quella classe politica che è percepita sempre più distante dai cittadini; e la dimostrazione, l’ennesima, che si sta cercando di portare all’interno delle istituzioni quelle voci che infuriano nel dibattito pubblico, segno di quell’ascolto che non può mancare nella buona politica.

Ma il vero dato, in tutto ciò, è che così facendo si apre la strada al ricalcolo delle pensioni retributive. Il precedente che si creerebbe, nel caso la legge fosse definitivamente approvata e non fosse bocciata dalla Corte Costituzionale (vera spada di Damocle che pende su questa legge), darebbe al Parlamento la possibilità di ridiscutere la distribuzione previdenziale delle pensioni d’oro, dei baby-pensionati, e tutti coloro che ad oggi usufruiscono di una pensione estremamente conveniente avendo sfruttato, all’epoca, condizioni d’accesso alla pensione molto più semplici delle attuali. Ciò permetterebbe di rimodulare le pensioni retributive in contributive, permettendo alle casse dell’INPS di riprendere fiato e di costruire un sistema pensionistico non solo sostenibile, ma anche più equo nei confronti delle nuove generazioni, di tutti quei ventenni e trentenni che, approcciandosi oggi al mondo del lavoro, rischiano di andare in pensione non prima dei 70 anni, e con mensilità mediamente più basse di quelle di oggi.

Questo discorso, che è una ricaduta positiva della riforma Richetti, ha però un lato meno nobile. Come fatto notare da Cesare Damiano, Presidente della Commissione Lavoro della Camera ed ex Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale durante il Governo Prodi II, il metodo del ricalcolo rischia anche di mettere mano, al ribasso, alle pensioni di lavoratori autonomi e dipendenti. La controproposta avanzata da Damiano, per abbassare i vitalizi senza utilizzare il metodo del ricalcolo, si basava piuttosto su un assunto molto semplice, ovvero il limite invalicabile: tale proposta avrebbe previsto un tetto massimo di 5mila euro cumulabili dalle indennità europee, nazionali e regionali, con l’aggiunta di un eventuale contributo di solidarietà per i primi 3 anni.

C’è però bisogno di una piccola precisazione, quando si parla di vitalizi. Spesso e volentieri, questi vengono paragonati alla pensione, che scaturisce dal lavoro del singolo individuo. Eppure, nella nostra Costituzione, l’operato dei parlamentari viene scisso dal concetto di lavoro e dalla sua giurisprudenza, ma viene chiaramente definito come una funzione; ed il vitalizio, in tal senso, non può che configurarsi come un’indennità indipendente, appunto, dal lavoro svolto dal parlamentare al di fuori del Parlamento. I padri costituenti, nel redigere questi concetti, si erano all’epoca basati su un assunto molto semplice: il vitalizio avrebbe dovuto permettere ad un parlamentare di operare nelle istituzioni indipendentemente dagli influssi esterni, ovvero essere completamente indipendente da chi avesse voluto influenzare il suo mandato. Ecco quindi che i padri costituenti trovano la soluzione nel vitalizio, che garantiva ad un parlamentare di poter svolgere la sua funzione senza il rischio di essere minacciato economicamente quando avesse terminato il suo mandato (non è fuori dal mondo pensare che, in assenza di vitalizio, chi avesse intenzione di indirizzare un parlamentare in suo favore, non avrebbe dovuto far altro che dire “Tu approvami questa o quella legge, e quando esci dal Parlamento ti assumo da me”). Il vitalizio è stato, per molti anni, un argine alla corruzione – efficace o meno, se ne può discutere: ma questa era la ragione della sua esistenza.

Oggi, proprio per il paragone inappropriato tra vitalizio e pensione, si ritiene che sia giusto abbassare il vitalizio, perché (sulla scia dell’antipolitica che gioca al ribasso sul ruolo delle istituzioni) si ritiene inadeguato ed insufficiente l’operato del Parlamento italiano – ed il pensiero comune dice che chi lavora poco, deve prendere poco. Ecco, permettetemi allora una provocazione finale: piuttosto che pretendere di giocare al ribasso ed abbattere i vitalizi, non sarebbe forse stato meglio giocare al rialzo e pretendere un sistema che migliori l’operato dei nostri parlamentari?

 

Silvio Gregorini

Segretario Provinciale Ancona