La violenza di genere e le sue radici

25 Novembre 2020
1464 visualizzazioni

Cosa si intende per violenza di genere?

Non esiste un solo tipo di violenza.

Si considera violenza ogni forma di abuso di potere e controllo che si può manifestare come sopruso fisico, sessuale, psicologico ed economico.

La violenza fisica è la massima espressione della violenza ma è anche l’ultimo stadio.

La forma di violenza più diffusa infatti è quella psicologica, che ha il fine di mortificare e indebolire la posizione della donna. E’ la prima a manifestarsi ed è meno visibile perchè non lascia segni sulla pelle, non solo per gli estranei , ma anche per chi la subisce. Tale forma di violenza tende ad avere controllo delle scelte personali e delle relazioni sociali fino ad indurre la persona al completo isolamento. Così invisibile che la vittima si percepisce con gli occhi di chi perpetra la violenza, abituandosi ad essa e con la sensazione che in qualche modo “se lo sia meritato”.

La violenza all’interno delle relazioni affettive è quella più frequente in ogni società e cultura, ed ha le proprie radici nella millenaria disparità di diritti e sottomissione delle donne nella società patriarcale.

La violenza, al contrario di quanto si pensa, si subisce prevalentemente all’interno delle mura domestiche, ovvero in ambito familiare.

“Femminicidio” è tra i più utili neologismi inventati ai giorni nostri: finché le cose non hanno un nome purtroppo sono invisibili. Con questa parola si è riusciti a dare la consapevolezza dell’esistenza del problema.

Non che prima non si consumassero “femminicidi”, semplicemente non c’era una parola per indicare il flusso indistinto di avvenimenti. Invece il femminicidio è un vero e proprio fenomeno di donne uccise per aver messo in discussione il loro ruolo: “la donna viene uccisa in quanto donna, o perché non è la donna che la società vorrebbe che fosse”.

La violenza di genere nel 2020

Questa emergenza umanitaria si è ulteriormente acutizzata durante la pandemia.

Emerge infatti che ad oggi le donne vittime di femminicidio nel 2020 sono state 91. Durante il periodo di quarantena (da marzo a giugno) si è riscontrato inoltre un aumento, rispetto all’anno precedente, del 119% delle chiamate al numero verde 1522.

Per quanto riguarda gli omicidi in ambito familiare/affettivo che, seppur in diminuzione rispetto all’anno scorso (da 73 a 69), presentano un aumento dell’incidenza sul totale degli omicidi (da 45% a 53%). Anche le vittime di sesso femminile aumentano (da 45 a 53) e cresce l’incidenza (dal 62% nel 2019 al 77% nel 2020).
Crescono, infine, gli omicidi commessi da partner o ex partner (da 32 a 36) e l’incidenza di donne uccise in questo modo.

Il racconto della violenza di genere: linguaggio e mass media

La comunicazione relativa agli episodi di violenza di genere è basata su stereotipi, sensazionalismo e mancato rispetto della vittima.

L’errore più comune è quello del “romanzare la violenza”.  Spesso i mass media evidenziano l’esistenza di una connessione forte tra il femminicidio della partner e uno stato di amore tormentato. I principali motivi risultano la gelosia e l’incapacità di accettare la decisione del partner di terminare la relazione. A rafforzare questa visione c’è il “raptus”, un impulso improvviso e incontrollato che spinge a comportamenti violenti.

I mass media non riescono a spiegare quali sono le reali cause che portano gli uomini a questa “perdita di controllo” giustificandola con una distorsione della relazione.

Nel linguaggio utilizzato negli episodi di stupro si sottolinea la fragilità delle donne. Elemento importante inoltre è la colpevolizzazione per dei loro comportamenti, come assunzione di alcool o droghe o il tipo di abbigliamento indossato in quell’occasione. Minimizzando e screditando in tal modo questo tipo di episodi si rischia anche che molte donne rinuncino a denunciare per paura di non essere credute.

I giornali e i mass media hanno il compito di utilizzare un linguaggio esatto e libero dai pregiudizi. Hanno l’obbligo di fornire informazioni corrette dei fatti accaduti evitando comunicazione distorta e misogina che sposta la colpa dall’aggressore alla vittima. Spesso i giornali influenzano negativamente l’opinione pubblica e danno giudizi, seppur indirettamente. Questa è una narrazione di stampo maschilista che giustifica il carnefice dandogli sempre una scappatoia. Quello che i giornali dovrebbero dire è che la violenza, in ogni sua forma, nasce dalla forte subordinazione delle donne che ancora pervade la società moderna.

Stereotipi di genere

L’Istat il 25 novembre 2019, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, presenta per la prima volta i dati dell’indagine: “Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale”

I più comuni sono:

  • “Per l’uomo, più che per la donna è molto importante avere successo nel lavoro” (32,5%)
  • “Gli uomini sono meno adatti ad occuparsi delle faccende domestiche” (31,5%)
  • “È soprattutto l’uomo che deve provvedere alle necessità economiche della famiglia (27,9%)
  • “In condizioni di scarsità di lavoro, i datori di lavoro dovrebbero dare la precedenza agli uomini rispetto alle donne” (16,1%)
  • “È l’uomo che deve prendere le decisioni più importanti riguardanti la famiglia” (8,8%)”
La libertà della donna passa attraverso l’indipendenza economica. L’assenza di un’autonomia economica rappresenta uno degli ostacoli maggiori nel momento in cui la donna si sente pronta per uscire dalla situazione di maltrattamento.
E questo, nella nostra società, parte già da uno stereotipo banalizzato e dato per scontato: “Paga l’uomo”.

In Italia, esiste una consistente disparità tra l’occupazione maschile e quella femminile e la diminuzione dell’intensità di lavoro nell’ultimo periodo ha interessato in primo luogo le donne con figli. Per esempio in Italia l’11,1% delle madri con almeno un figlio non ha mai lavorato (quasi tre volte la media UE). Il tasso di occupazione delle madri tra 25 e 54 anni che si occupano di figli piccoli o parenti non autosufficienti è del 57% a fronte dell’89,3% dei padri. Troviamo un’altissima percentuale di part-time involontario che contribuisce ad impoverire i salari delle donne, oltre che le loro pensioni future. Lo snaturamento del part-time ha finito per segregare ulteriormente il lavoro femminile: da una parte poco retribuito e dall’altra precario.

E il part-time non è una scelta libera: è una necessità.

L’assenza di lavoro rappresenta di per sé un problema perché nega sostentamento e autonomia, ma anche perché non consente a molte donne di cimentarsi in questa attività e di realizzare pienamente se stesse.

La libertà della donna passa attraverso l’emancipazione e l’autodeterminazione nelle proprie scelte.
Una donna libera di poter scegliere liberamente come vivere la propria sessualità senza dover essere definita “puttana”.
Deve essere libera di mandare video e foto intimi al partner senza dover subire un revenge porn e nei casi più estremi essere licenziata.
Una donna libera di poter scegliere di essere madre e come farlo o di poter interrompere una gravidanza. Un punto di inizio potrebbe essere parlare di maternità non come un punto di realizzazione di una donna ma come una scelta che come tale deve essere trattata.
“La libertà delle donne è non accettare che una categoria precisa della società le etichetti o le cataloghi per una qualsiasi decisione presa nella vita privata. La libertà delle donne significa libertà delle donne e non è subordinata o soggetta all’approvazione di nessuno.”

 

Ilaria Chiovini