La classe operaia va in paradiso

19 Settembre 2016
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Abdel Salam Ahmed Eldanf stava partecipando a una manifestazione sindacale e, a voler essere sinceri, poco importa della verità giudiziaria, se sia stato un incidente, una distrazione del conducente, una deliberata scelta frutto della disperazione o un omicidio. Ciò che conta davvero e che rende questa morte non fatalità ma responsabilità, è che nel 2016 ancora, a dispetto dei più alti traguardi raggiunti dal progresso umano, si continua a morire di lavoro. L’articolo 40 della Costituzione italiana sancisce, nei limiti di legge, il diritto di sciopero; l’operaio egiziano un contratto regolare lo aveva, i diritti li aveva acquisiti. Stava manifestando insieme ai suoi colleghi precari, che quei diritti invece non li avevano, lui era lì per gli altri. Questa tragedia ha un che di ottocentesco, quando la coscienza dei diritti si doveva ancora formare. Fa impressione vedere un passato così spaventoso ritornare davanti agli occhi di tutti. Gli scioperi, le manifestazioni, tanto hanno fatto per ottenere un affrancamento da condizioni di quasi schiavitù e per la conquista di tutele minime; tuttavia ad oggi il rapporto tra mondo operaio e contesto sociale è nuovamente lontano. Rumore di sottofondo e palcoscenico: questa è la distanza che ormai divide la voce operaia, tornata a essere debole, e il contesto sociale che la relega dietro le quinte; nel nome di questa distanza e di questa debolezza bisogna quindi parlare di Abdel e di tutte le vittime di incidenti sul lavoro. La lotta sindacale non è ancora riuscita a scardinare quegli strumenti di abuso sistematico, dalle paghe basse per lavori usuranti allo sfruttamento e al ricatto dei lavoratori stranieri.

Giacomo a Taranto, un operaio a ATAC a Roma e un altro a Trieste; schiacciati, stritolati, travolti. Sono le ultime vittime sul lavoro, 500 da inizio anno, che chiudono una settimana nera per il nostro paese, con nord, centro e sud uniti nella tragedia. Gli abusi contrattuali non costituiscono l’unico problema dei lavoratori, lavoratori che ogni giorno operano in un contesto di carenza di tutele e garanzie, con inadeguati sistemi di sicurezza, dove manca il rispetto di regole e procedure ed in cui la precarietà contribuisce a peggiorare la loro condizione. In un periodo in cui sono all’ordine del giorno gli scandali che hanno coinvolto alcune delle principali sigle sindacali avremmo bisogno che le stesse presidiassero ogni giorno i luoghi della fatica, battendosi per l’ampliamento dei diritti e il radicamento di una cultura della sicurezza, per cancellare il drammatico +15% con cui si è concluso il 2015, perché non si possa morire quando ci si sta guadagnando da vivere.
Ogni vittima è una sconfitta e il silenzio che troppo spesso le avvolge rende vano il loro andare in paradiso. Bisogna parlare di loro e bisogna pretendere che le responsabilità vengano ricomposte, con la stessa pietà e lo stesso rispetto con cui si ricompone il corpo di una vittima.

 

 

Massimo Monda