Il filo rosso da Utøya a Suruç

25 Luglio 2016
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Alcuni giorni fa parlavo con una mia amica di un brutto episodio avvenuto ad un artista che entrambi seguiamo.

Michele Rech, in arte ZeroCalcare, è un fumettista romano, classe ’83, cresciuto nelle strade di Rebibbia, nei centri sociali di sinistra, nei concerti punk hardcore e straight edge (tranquilli, non sono parolacce, sono stili musicali e filosofie di vita). Ha acquisito negli anni notorietà grazie al suo blog nel quale, per mezzo di uno stile di disegno e narrazione attraverso il quale chiunque può immedesimarsi, racconta episodi di vita quotidiana e della sua adolescenza. Ha all’attivo diverse collaborazioni con testate quali Wired ed Internazionale (ricordiamo la sua ultima fatica proprio per Internazionale, Kobane Calling) e le sue opere si ritrovano spesso nelle classifiche dei “più venduti”, arrivando nel 2015 al secondo posto del Premio Giovani Strega con Dimentica il mio nome.  Insomma, un successo di pubblico e di critica.

ZeroCalcare è stato pochi giorni fa vittima di una censura via Facebook per un post “controverso”.

Il post in questione è stato ora cancellato e la censura (alle sue pagine personali e pubbliche, indifferentemente) revocata. Nel post incriminato, ZeroCalcare annunciava che avrebbe preso parte ad un’iniziativa in ricordo di Carlo Giuliani, l’attivista rimasto vittima degli scontri con le forze dell’ordine 15 anni fa, durante il G8 di Genova. Molti di coloro che affermavano di apprezzare l’artista si sono sentiti in dovere di commentare, esprimendo il loro dissenso verso tale scelta, nella maniera peggiore: insultando l’autore, minacciandolo, fino ad organizzarsi per fare massa e segnalare il post causandone, per i regolamenti interni di Facebook, la rimozione forzosa (pena, appunto, la censura dell’intero spazio digitale in cui tale post era contenuto).

Ora, non mi soffermerò sul fatto che molti di questi commentatori siano “caduti dalle nuvole” su una presa di posizione simile da parte di ZeroCalcare, che non ha mai nascosto la sua visione politica in generale e sui fatti di Genova in particolare, a cominciare dalla collaborazione al volume GeVsG8 e dalla produzione della storia autobiografica A.F.A.B. del 2011, dedicata proprio al decennale degli scontri di Genova.

Ciò che, piuttosto, ho ritenuto interessante, è vedere come, ancora ed ancora, sia l’intolleranza del diverso a farla da padrone. Vedere come una posizione diversa dalla propria porti a rivalutare, totalmente in negativo, l’apprezzamento verso un determinato artista che fino a pochi minuti prima si era considerato profondo ed intelligente; come questa presa di posizione contraria ad una idea diversa porti poi a crearsi una identità di gruppo (seppur temporanea) con conseguenze contro colui il quale si è espresso esponendo una propria idea (conseguenze solo digitali, per fortuna).

È vero, ZeroCalcare è “solo” un fumettista e l’episodio si potrebbe considerare isolato. Eppure questo fenomeno di intolleranza, di costruzione della identità del singolo e del gruppo attraverso non una successione di idee propositive e costruttive, quanto piuttosto attraverso un insieme di contrapposizioni costruite al fine di negare l’identità altrui (nel caso di ZeroCalcare, l’identità politica), è tutt’altro che un fenomeno isolato.

Ho ritenuto interessante il fenomeno perché, facendo i dovuti distinguo dall’episodio precedente, molte tragedie della storia degli ultimi anni si possono ricollegare a questo tipo di comportamento. Ne voglio citare due, che ritengo estremamente significative, non solo per la data che le accomuna.

Norvegia, 20 luglio 2011. Un uomo, definitosi un anti-multiculturalista, un anti-europeista e un anti-islamista, fa esplodere un’autobomba nel centro di Oslo come diversivo, per poi recarsi sull’isola di Utøya e far fuoco su una folla di ragazzi, aderenti alla Lega dei Giovani Lavoratori (l’organizzazione giovanile del Partito Laburista), uccidendo in totale 77 persone e ferendone oltre 300.

Turchia, 20 luglio 2015. Una bomba colpisce un centro culturale a Suruç, vicino al confine siriano. 33 giovani, aderenti al Partito Socialista turco e alla Federazione delle Associazioni Socialiste Giovanili, arrivati lì da ogni parte della Turchia, vengono uccisi; altri 104 rimangono feriti. L’attentato è rivendicato dall’ISIS, la motivazione chiara: quei giovani stavano per partire alla volta della siriana Kobane, in una missione di solidarietà e supporto alla ricostruzione della città, all’epoca sotto assedio nella guerra al califfato islamico. È stato il primo attacco dell’ISIS su territorio turco ad essere ufficialmente rivendicato.

Due episodi (tra i molti, troppi che abbiamo vissuto in questi anni) che hanno due punti chiave in comune. Non importa che l’attentatore fosse europeo, di pelle bianca e cattolico, o mediorientale, dalla carnagione olivastra e musulmano, perché in tutti e due gli attacchi le finalità ideologiche erano più che chiare: impaurire i giovani, e distruggere il senso di identità che avevano costruito. In entrambi i casi, gli attentatori hanno costruito e maturato la propria identità (il nazionalismo ultracattolico di Breivik, la teocrazia islamica dell’ISIS) non come proposizione di ideali, ma come contrapposizione ad un modello che percepivano come esterno, quello tipico del multiculturalismo europeo/occidentale, ben rappresentato dalla partecipazione volontaria alla vita politica e democratica dei ragazzi di Utøya, e dal forte senso di solidarietà e sostegno dimostrato dai giovani presenti a Suruç.

Non c’è bisogno di ripetere che queste due stragi non possono, non devono essere dimenticate, né fatte passare in sordina com’è successo questi giorni (qualcuno ne ha per caso sentito parlare sui media nazionali?). Per rispetto verso le vittime, certamente. Ma soprattutto per ricordarci che il terrore si deve e si può prevenire soprattutto per via culturale e sociale. L’emarginazione, l’elitarismo, l’esclusivismo, il nazionalismo, sono tutti fattori che portano solo e soltanto all’inasprimento del muro che si frappone tra “noi” e “loro”, e non fanno altro che rafforzare il pensiero di chi agisce non con uno scopo costruttivo, ma con uno distruttivo. Innalzare muri e propagare la “tolleranza zero” (che poi si tramuta, immancabilmente, in “intolleranza razzista”) ha una sola conseguenza, che è quella di entrare in una spirale viziosa di astio reciproco tra le culture che vengono artificiosamente contrapposte.

E questa proposta culturale e sociale, che preveda inclusione, tolleranza, comprensione reciproca, deve partire dal basso. Come nel caso della censura a ZeroCalcare, definire la propria identità solo in funzione della contrapposizione con l’identità altrui può significare costruire muri fin dalla nostra quotidianità – che è la base della nostra identità personale. Non è poi un caso se l’attentatore di Monaco, altra tragedia avvenuta pochi giorni fa, fosse un ragazzo vessato e bullizzato per via delle sue origini iraniane, né che abbia scelto il 22 luglio come data per portare a compimento i suoi tragici intenti, vista la sua ammirazione per (o addirittura identificazione con) il già citato Breivik.

Possiamo fare molto per cambiare questo paradigma culturale. Come Giovani Democratici, abbiamo questo dovere nei confronti di chi ci sta attorno. Se davvero vogliamo lasciare il mondo un posto migliore di quello che abbiamo trovato, dobbiamo lavorare per abbattere i muri, combattere l’intolleranza con l’accettazione, lottare contro le diseguaglianze sociali ed economiche che esacerbano i fenomeni di tensione, costruire un futuro più giusto ed equo. Dobbiamo lavorare nel quotidiano, passo dopo passo, giorno dopo giorno.

Per i ragazzi di Utøya e Suruç, e tutte le altre vittime innocenti dell’intolleranza.

Silvio Gregorini

Segretario Provinciale GD Ancona