¿CATALEXIT?

9 Ottobre 2017
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Sono le 20:10 di una sera di ottobre, il Presidente catalano, assieme ai suoi Ministri, compare dinanzi alla folla dal balcone del Palazzo della Generalità per proclamare la nascita della Repubblica Catalana. Madrid non si fa di certo attendere: dichiarato lo “stato di guerra”, dà mandato al comandante delle forze spagnole presenti nella regione di arrestare il Presidente ed i suoi Ministri. Dopo diversi scontri armati, attorno alle 7 del mattino seguente, i soldati spagnoli entrano nel palazzo del governo catalano e prendono in custodia il Presidente del Governo, i Ministri, il Presidente ed alcuni Deputati del Parlamento catalano. L’esperienza della neonata Repubblica Catalana termina, in appena undici ore, repressa nel sangue con un bilancio di 46 morti e 3000 arrestati.

Tutto ciò, potrebbe solo sembrare una narrazione distopica di quello che sta per accadere in Spagna, ma in realtà è ciò che avvenne per le vie di Barcellona nella notte tra il 6 e il 7 ottobre del 1934; quando, il presidente della “Generalitat”,LluisCompanys si trovò in una situazione di tensione comparabile a quella attuale.

In questi giorni molto si è discusso sulla questione dell’indipendenza catalana; un tema che in queste settimane è tornato alla ribalta delle cronache, sicuramente per via della convocazione di un nuovo referendum nella Regione, ma forse ancor più a causa dei tragici episodi di violenza che hanno accompagnato le operazioni di voto, a cui tutti noi abbiamo assistito attraverso i media mondiali. Ultimamente sulla questione se ne sono dette tante, forse anche troppe; perciò, in qualche modo, è nostro desiderio non solo cercare di fare chiarezza su alcune questioni, ma anche tentare di rimettere insieme i pezzi di questo complicato puzzle in un modo neutro e semplice, se possibile. Detto ciò, possiamo iniziare…

Come intuibile dall’introduzione, non è la prima volta che il tema dell’indipendenza è fonte di tensione tra il governo centrale di Madrid ed il governo catalano, infatti già tre anni fa ci fu un tentativo di referendum che, bloccato dal Tribunale Costituzionale spagnolo, fu trasformato in una consultazione informale. Tuttavia, nonostante l’indipendentismo catalano sia un tema abbastanza centrale nella politica spagnola degli ultimi dieci anni, la Catalogna già gode di una certa autonomia dal governo centrale spagnolo e che sicuramente è maggiore di quella di altre Comunità: ha infatti un suo inno, una sua bandiera, un suo corpo di polizia, il “Mossos d’Esquadra”; e una sua lingua, il catalano, che viene parlata correntemente dai dipendenti pubblici, usata negli atti ufficiali ed insegnata nelle scuole.

Ma da dove derivano le aspirazioni indipendentiste? I principi su cui si fonda l’indipendentismo catalano fanno generalmente riferimento a due momenti della storia della Catalogna: il primo, farebbe riferimento all’epoca della dominazione carolingia che seguì alla “Reconquista” in cui, secondo alcuni, si formò la cultura catalana per via della larga autonomia di cui godeva la regione; mentre il secondo sarebbe rappresentato dalla sconfitta subita dalla regione nel 1714 nel contesto della Guerra di successione spagnola, sconfitta che portò inevitabilmente alla fine delle istituzioni catalane inserite ora in un rinnovato stato centralizzato sul modello assolutista francese in cui, ovviamente non c’era spazio per spinte autonomiste di alcun tipo. Sul porre il fondamento delle aspirazioni indipendentiste in questi eventi non c’è la piena concordanza degli storici, sta di fatto che quell’11 settembre 1714, il giorno della sconfitta catalana, si ormai inserito a pieno titolo nell’immaginario collettivo catalano, lo dimostra il fatto che l’11 settembre si celebri la “Giornata nazionale della Catalogna” e che al minuto 17:14 delle partite del Barça, i tifosi catalani inneggino con cori alla “Independència”. Bisognerà, tuttavia attendere la fine del XIX sec. per la nascita del cosiddetto “catalanismo politico”, ovvero il movimento legato, non solo, alla valorizzazione della cultura e delle tradizioni catalane ma più marcatamente connesso con le aspirazioni nazionaliste e indipendentiste della regione. Nel 1922 il movimento si evolse in un partito vero e proprio ma, purtroppo, già nel ‘23 con l’inizio della dittatura di Primo de Rivera, si infranse contro il regime, che avviò le dure pratiche repressive che poi trovarono inesorabilmente riconferma nella dittatura di Francisco Franco: il “catalanismo” e i suoi simboli vennero infatti criminalizzati, così come fu proibito anche l’uso della stessa lingua catalana. Bisognerà attendere la fine del franchismo ed il ritorno alla democrazia affinché i nazionalismi trovino finalmente spazio all’interno della architettura costituzionale spagnola che, attraverso la Costituzione del ‘78, delinea un “Estado de lasAutonomías”. Dal 1975 la Catalogna attuò una politica di collaborazione con il governo centrale per cogliere ogni occasione di ripresa e ammodernamento dopo la fine della dittatura; per oltre trent’anni non si parlò quasi più di indipendenza. Nei primi anni 2000 si sono ricostituite alcune forze politiche indipendentiste, il cui consenso è andato crescendo per due motivi principalmente: la crisi economica e la percezione che le politiche del governo centrale stessero andando in una direzione accentratrice, ledendo così l’autonomia della regione. Alla fine, al grido di “Madrid ladrona”, le forze indipendentiste hanno ottenuto la maggioranza relativa all’interno dell’assemblea catalana nel 2015. La Catalogna effettivamente è uno dei motori trainanti dell’economia spagnola, il 17% delle entrate fiscali provengono infatti dalla regione che da sola rappresenta il 20% del PIL spagnolo; ciò, secondo gli indipendentisti, basterebbe a giustificare le richieste di una piena autonomia fiscale da Madrid o addirittura la secessione della Catalogna. Ecco quindi che arriviamo al fatidico referendum: il 1 ottobre scorso, come ben sappiamo, si è tenuta una consultazione referendaria sull’indipendenza catalana. Il referendum in questione, era stato dichiarato illegale con sentenza unanime dalla Corte Costituzionale spagnola e di conseguenza non è stato riconosciuto dal Governo centrale spagnolo che anzi ha ordinato l’intervento delle forze di polizia per impedirne lo svolgimento; tuttavia la consultazione è avvenuta lo stesso e, con un’affluenza di circa il 41%, il “SÌ” ha ottenuto più del 90% dei consensi.

Ed ora? Beh adesso le principali opzioni sono fondamentalmente due: da un lato la Catalogna si dichiara unilateralmente indipendente dalla Spagna, dall’altro Barcellona e Madrid si siedono ad un tavolo per negoziare un nuovo Statuto di Autonomia. Naturalmente quest’ultima soluzione è la più semplice e naturalmente preferibile ma che tuttavia potrebbe comportare dei “costi politici” sia per il leader catalano CarlesPuigdemont, ma ancor di più per il Primo Ministro spagnolo Mariano Rajoy, costi che potrebbero rendere più difficile il negoziato. Ricordiamo, infatti, che Rajoy (Partito popolare) è il Presidente di un governo di minoranza che si sta reggendo solo grazie all’astensione in parlamento del PSOE, il Partito socialista. Da un lato c’è quindi il problema della tenuta del governo e dall’altra quello dell’unità nazionale; da una parte la Corona che esorta il Governo a restaurare l’ordine costituzionale, dall’altra tutte le forze politiche che sono più o meno pronte a cavalcare l’onda della crisi interna… e nel mezzo c’è Mariano Rajoy.

Parlando invece del secondo scenario, ovvero quello della dichiarazione unilaterale di indipendenza, si aprirebbero per la Catalogna una lunga serie di problematiche di non facile risoluzione. Prima tra tutte c’è la questione della “legalità” di suddetta dichiarazione: la Costituzione Spagnola del ‘78 sancisce all’art. 2 la “indisolubleunidad de la Naciónespañola” ed attraverso l’art. 155, dà mandato al Governo di adottare le misure necessarie per obbligare una Comunità Autonoma all’adempimento forzato di obblighi non ottemperati che derivino dalla Costituzione e dalle altre leggi, oppure per proteggere lo Stato da comportamenti che attentino gravemente agli interessi generali della Spagna. A tal proposito, in questi giorni una delle locuzioni più abusate è sicuramente quella del diritto all’autodeterminazione dei popoli; un principio, sancito a più riprese nel diritto internazionale, ma che tuttavia non è possibile adoperare per superare il dettato costituzionale spagnolo. Secondo le norme ed i principi del diritto internazionale, il diritto all’autodeterminazione vale solo per quelle popolazioni sottomesse a dominazione coloniale o occupazione militare straniera o in presenza di gravi violazioni sistematiche dei diritti umani. Inoltre sempre nel diritto internazionale non solo non esistono consuetudini o norme che sanciscano degli obblighi ad intervenire per la comunità internazionale in un caso di “autodeterminazione interna”, se così la vogliamo chiamare; ma anzi, al contrario, vige il divieto di interferenza negli affari interni degli Stati. Volendo infine supporre che dopo la dichiarazione di indipendenza il governo centrale non intervenga “manu militari”,e che quindi la Catalogna diventi formalmente indipendente si presenterebbe un problema sostanziale, ovvero il riconoscimento internazionale di questa nuova soggettività. Secondo la legislazione europea, ma in generale per il diritto internazionale in materia di successione dei trattati, una nuova entità nazionale è svincolata dagli accordi internazionali, è il principio della “tabula rasa”. La nuova Catalogna indipendente si troverebbe così immediatamente fuori sia dall’Unione Europea, sia dalle organizzazioni internazionali, ONU e NATO ad esempio; e si vedrebbe così costretta a negoziare l’ingresso nella zona euro, dovendo anche superare un potenziale veto spagnolo. Tuttavia i problemi per il neonato Stato non finirebbero qui: oltre a enormi problemi di organizzazione istituzionale, giusto per citarne uno, il ripristino delle frontiere; la Catalogna, dovrebbe superare una dura situazione economica. Fuori dalla zona euro, il Paese si troverebbe momentaneamente privato dei partner commerciali, ciò produrrebbe un drastico calo del PIL, già stimato tra il 25 ed il 30 per cento, dovuto al fatto che il 75% del PIL catalano è rappresentato dall’export; come se ciò non bastasse la Catalogna libera si troverebbe anche a dover “contrattare” attraverso una nuova moneta che tuttavia sarebbe già fortemente svalutata in partenza. Se per alcune grandi imprese e banche, i risultati del voto e qualche facilitazione da parte di Madrid, sono già bastati per fare le valigie e trasferire le sedi sociali fuori dalla Catalogna, lo spettro dei mercati finanziari potrebbe stroncare sul nascere uno Stato che comunque, in ogni caso partirebbe economicamente indebitato: la Catalogna ha infatti un debito verso lo Stato centrale che ammonta a quasi 77 miliardi di euro.

Tutte queste considerazioni, convincerebbero immediatamente un “attore razionale” a sedersi al tavolo e a raggiungere un compromesso negoziale, ma si sa, in politica e nella storia non c’è una mano invisibile a guidare le sorti del mondo… tuttavia, in queste ore si stanno susseguendo enormi manifestazioni a favore dell’unità nazionale, per chiedere ai protagonisti di questa vicenda che si torni al buon senso e che si riapra il dialogo tra le parti. Anche noi, come Giovani Democratici, ci auguriamo che le varie anime della Spagna possano tornare al più presto a dialogare tra loro e che possano trovare una soluzione pacifica e condivisa tra le forze sociali e politiche. #RecuperemElSeny #Hablamos
Giovanni Tartaglia

Res. Europa e Politiche Comunitarie